
Thailandia: la nuova frontiera dello specialty coffee
Passeggiando tra le montagne del nord della Thailandia, fino alla fine degli anni ’70 era comune imbattersi in vaste piantagioni di oppio. Il raccolto, una volta trasformato in Cina, veniva destinato principalmente al mercato europeo, alimentando un’economia sommersa che teneva le comunità locali in una condizione di forte dipendenza e vulnerabilità.
Il Re Rama IX, al secolo Bhumibol Adulyadej, decise di intervenire per cambiare radicalmente questa realtà. Con il Royal Project, un insieme di leggi e iniziative introdotte nel 1969, avviò un processo di riconversione agricola su larga scala. L’obiettivo era duplice: da un lato eliminare gradualmente le colture illegali, dall’altro offrire ai contadini nuove opportunità di reddito attraverso coltivazioni alternative, sostenibili e commerciabili.
Tra queste colture si impose rapidamente il caffè arabica, che trovò nelle alture della regione di Chiang Rai, in villaggi come Doi Chang e nelle aree circostanti, un habitat ideale. Il progetto non si limitò a fornire semi di qualità, ma introdusse anche programmi di formazione avanzata: i contadini impararono le tecniche di coltivazione in quota, la gestione dei terreni e i processi di lavorazione post-raccolto, competenze fondamentali per ottenere un prodotto di eccellenza.
Grazie a questo percorso, il caffè è diventato negli anni una risorsa economica stabile per il Paese, coprendo oggi circa il 16% dei consumi locali. Per proteggere la filiera interna e incentivare la trasformazione sul territorio, il governo thailandese ha imposto dazi e restrizioni sulle esportazioni di caffè verde. È anche per questo che trovare caffè thailandese in Italia rimane tuttora un’esperienza rara.
Lo sviluppo voluto da Rama IX non ha soltanto risanato l’economia rurale: ha posto le basi per un’agricoltura più equilibrata, insegnando alle comunità il valore della riforestazione e la necessità di preservare il suolo e la biodiversità. Oggi, quelle stesse aree montane che un tempo ospitavano piantagioni di oppio sono ricoperte da foreste rigogliose e campi diversificati.
Non solo caffè: la Thailandia è diventata famosa anche per altri prodotti legati a questa nuova visione agricola. Tra questi spicca un miele di alta qualità, ottenuto grazie a una flora ricca e variegata. Le api bottinano tra fiori tropicali e piante di montagna, dando origine a un miele aromatico, dalle sfumature calde e complesse, che riflette perfettamente la biodiversità del territorio e la trasformazione culturale avviata con il Royal Project.
Oggi la Thailandia, grazie a questi interventi, è uno dei Paesi in cui la cultura del caffè occupa un ruolo centrale nell’ospitalità. Nel nord non è raro imbattersi in piccoli bar immersi nella giungla che servono caffè di altissima qualità. Basti pensare che una delle più grandi catene di caffetterie del Paese, con oltre 300 punti vendita, ha le proprie radici proprio nelle montagne del villaggio di Doi Chang.
Questo sviluppo ha dato vita a un consumo più consapevole: molte caffetterie propongono estrazioni con metodi ancora poco diffusi in Italia e generalmente associati al mondo dello specialty coffee, come V60, Chemex, Syphon, Cold Brew e Aeropress. La vivacità di questa scena è evidente anche a livello internazionale: numerosi baristi asiatici, infatti, hanno conquistato premi e riconoscimenti nelle più importanti competizioni di caffetteria.
Questo percorso dimostra quanto l’intervento strategico di un governo possa incidere non solo sull’economia, ma anche sulla crescita culturale di un Paese. In Thailandia, la scelta di investire nella formazione, nella tutela ambientale e nella valorizzazione dei prodotti locali ha creato una filiera agricola sostenibile e una comunità più consapevole, capace di riconoscere e apprezzare la qualità.
In Italia, dove il caffè è un elemento identitario ma spesso legato più all’abitudine che alla conoscenza, un approccio simile—basato su educazione, sostegno alla produzione di qualità e promozione della trasparenza nella filiera—potrebbe favorire una maggiore consapevolezza del prodotto e aprire nuove opportunità per i piccoli produttori, contribuendo a rafforzare un settore già ricco di potenzialità.
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